FilmUP.com > Forum > Tutto Cinema - Perchè Marienbad odia Kubrick
  Indice Forum | Registrazione | Modifica profilo e preferenze | Messaggi privati | FAQ | Regolamento | Cerca     |  Entra 

FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > Perchè Marienbad odia Kubrick   
Vai alla pagina ( Pagina precedente 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 Pagina successiva )
Autore Perchè Marienbad odia Kubrick
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 11-10-2006 12:55  
quote:
In data 2006-10-11 12:29, kagemusha scrive:

certo che il tuo discorso era chiarissimo io voglio solo evidenziare quanto è limitante fare un discorso del genere

dici che k usa poco quello che chiami linguaggio esclusivo del cinema, benissimo possiamo anche essere parzialmente d'accordo(ma anche tu mi sembra che non fai che trovare in continuazione eccezzioni alla tua regola)
ma se poi concludi con Dov'è il merito della regia? allora mi costringi ad ampliare il discorso



Infatti il discorso è aperto. Ognuno può portare il suo contributo e smentire quanto detto (lo faccio io stesso sulle mie stesse parole, come hai fatto notare).

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 11-10-2006 14:13  
quote:
In data 2006-10-11 11:54, Quilty scrive:


Anche in FMJ avviene questo raddoppio a livello sia narrativo che visivo.
Nella seconda parte del film la figura principale è quella del soldato Joker, giornalista che lavora nelle retrovie. Ad un certo punto della storia entra quindi in scena la televisione : con uno scambio di incessanti campi e controcampi il punto di vista del film diventa allo stesso tempo quello della macchina da presa dell'attore che riprende i soldati per eseguire il suo reportage giornalistico(i protagonisti guardano direttamente in macchina e quindi noi stiamo guardando il film attaverso il punto di vista della mdp della comparsa che riprende gli attori intervistati): le due rappresentazioni diventano una cosa sola. Ecco quindi che la messa in scena della messa in scena raggiunge il suo scopo a un doppio livello, sia di sceneggiatura che di risultato di regia, tramite attente inquadrature studiate per giungere esattamente a quell'effetto.





Dalla fretta mi sono reso conto che ho dinenticato di concludere il discorso.
Che senso ha allora questa sovrapposizione tra regia del film e regia della comparsa all'interno del film?
Tramite questo espediente visivo Kubrick annulla la differenza tra la realtà che i protagonisti del film pretendono di riportare attraverso i media e la rappresentazione di un film, che è il massimo della finzione possibile.
Non è certo un caso che nelle sequenze antecedenti a questa i dialoghi principali si basavano sull'impostazione delle notizie da pubblicare e far vedere ai connazionali oltreoceano, sulla correzione dei termini per addolcire il più possibile la guerra , renderla più finta e più digeribile per la pubblica opinione.

Anche in questo caso quindi la tematica che è scaturita viene direttamente da una precisa scelta di regia, l'idea kubrickiana si realizza attraverso la sua forma.
_________________
E' una storia che è successa ieri, ma io so che è domani.

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 11-10-2006 15:06  
quote:
In data 2006-10-11 14:13, Quilty scrive:

Anche in questo caso quindi la tematica che è scaturita viene direttamente da una precisa scelta di regia, l'idea kubrickiana si realizza attraverso la sua forma.



Non sono sicuro che i passaggi per arrivare alla realizzazione siano questi, di certo è proprio attraverso la forma, quindi attraverso la processazione stessa del fare che i termini Kubrickiani vengono espressi. D'altronde se pensi al silenzio di 2001, all'individualità costruita nel montaggio alternato e isolante, al rapporto di sguardi che non si trovano e non si incrociano, assistiamo alla pura forma visiva di un suono che diventa azione e narrazione.
_________________
"C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"

  Visualizza il profilo di Tristam  Invia un messaggio privato a Tristam  Vai al sito web di Tristam    Rispondi riportando il messaggio originario
Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 11-10-2006 15:10  
quote:
In data 2006-10-10 11:11, Quilty scrive:
quote:
In data 2006-10-09 22:24, AlZayd scrive:


Proseguendo, non senza fatica si giunge al fine.., e questa conclusione, che fa volare il cappello al completo, è una contraddizione in termini. Se "questo" è un vero uso semantico della mdp che indica... ecc, perchè mancherebbe il linguaggio del cinema, in quella sequenza e nel cinema di K. in generale? La macchina da presa E' il linguaggio del cinema, la sua "voce", crea l'immagine in movimento, ovvero la "fotogenia cinetica", aridunque il linguaggio, non la sceneggiatura...
Esto es un emorme cacao mental; qui mi sa - come supposto - che il "critico" non analizza, ma ha solo la presunzione di complicare le cose, di dire come secondo lui si sarebbe dovuto realizzare il film. A dar troppo peso alle "tecniche" si finisce per perderre di vista il linguaggio che è un'altra cosa, quantunque correlate a questo, dove tuttavia la tecnica è al servizio del linguaggio e non viceversa. Il particolarissimo linguaggio di Kubrick (che racchiude in se delle tecniche, come ogni opara d'arte) arriva allo spettatore - investendolo nella doppia sfera dell'inconscio e della coscienza - che se ne frega giustamente delle tecniche. Vatti a ricordare dove ne parlammo, in questo forum...




Non si capisce la distinzione che fai tra "Tecniche" e linguaggio. Io non ho parlato di tecniche a meno che tu non intenda per tecnica l'uso che fa Kubrick della mdp (le inquadrature e i movimenti di macchina) . Questa è stata infatti la base della mia analisi su FMJ. Ma questo è il linguaggo del cinema, la fase in cui viene impresso su pellicola tutto quello che lo precede (quindi sceneggiatura scenografia ecc). La regia utilizza il suo strumento ,la cinepresa, per creare il film e lo fa attraverso quelle che tu chiami tecniche e che in realtà è il linguaggio vero e proprio. Inquadrature, movimenti di macchina e montaggio delle immagini devono costruire un significato e il problema in Kubrick è che il linguaggio del cinema è poco utilizzato. Il fatto che in qualche punto del film si possa trovare un qualche movimento di macchina che produce un significato non è certo una contraddizione ma casomai un'aggravante, poichè per tutto il resto la mdp si limita a inqudrare delle immagini in cui tutto il significato è già contenuto( è il risultato del lavoro di sceneggiatura) senza produrne a sua volta ulteriormente. Lo stesso utilizzo delle figure stilistiche che Stanley usa è un semplice arricchimento della scena, e non incide ulteriormente. Quindi se il filmato si basa solo su meriti di sceneggiatura, perchè non andiamo a teatro a vedercelo? Non parliamo più di cinema e buonanotte.



Mi son riletto tutta la discussione.
Secondo te le ultime quattro righe che hai scritto sopra, possono mai essere commentabili? O ci si incazza ferocemente oppure si lascia passare. In quali termini si può discutere se affermi che "perchè non andiamo a teatro a vedercelo"?" oppure " in Amarcord non ho visto nè inquadrature..."
Dunque tu non vedi in Amarcord il linguaggio del cinema, e io cosa dovrei argomentare?
Non posso che prenderne atto, ma nessuno può vietarmi di pensare che hai preso una cantonata. Perchè proprio in Amarcord, che è girato praticamente senza sceneggiatura, il linguaggio del cinema diventa arte, la memoria diventa identità oggettiva, la rappresentzione filmica un quadro moltiplicato all' infinito di colori e sensazioni. Il lungo piano sequenza finale è il saluto di Fellini alla sua giovinezza, un gesto di commiato di una grandezza lirica disarmante.
Tu invece affermi che se la macchina da presa si dilunga nella ripresa fissa, ti annoi. Mi dispiace per te, ma ci sono film come Blue di Derek Jarman che non solo non annoiano, ma sono opere d'arte.
Ma tu sei di quelli che approcciano un film come un risultato della leziocina "istruzioni per l'uso", come analizzare un film in sette punti. Fortunatamente non è così.
Anzi aggiungo che quello che ho letto in queste pagine porta ad una pericolosa sopravvalutazione di sto cazzo di "linguaggio del cinema secondo Quilty".

_________________
True love waits...

  Visualizza il profilo di Schizobis  Invia un messaggio privato a Schizobis    Rispondi riportando il messaggio originario
vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 16:28  
quote:
In data 2006-10-11 02:16, Tristam scrive:




Con questo Kubrick ovviamente non aveva intenzione di stabilire un/il metodo obbligatorio, nonché unico, di seguire e sviluppare la messa in scena di una sceneggiatura, al contrario, credo, che questa sua affermazione apra una buona strada sulla riflessione metodologica della nascita di un film. Con questa spiegazione Kubrick afferma, magari solo inconsciamente, di fare parte di una certa (chiamiamola così) scuola che ha le sue origini nel cinema muto, e in particolare nel metodo renoriano.


Detto questo ecco allora la questione Renoir.
Renoir aveva un modo tutto particolare di girare i film. Come Kubrick non pensava mai alla regia fino a cui non arrivava il momento delle riprese, ma più di Kubrick, se non altro in maniera molto più stilistica che metodologica (sta anche qui la grandezza di Renoir, in questo suo essere intrinsecamente dominato da una sua visione piuttosto che da una regola di sviluppo) faceva della regia una questione quasi interamente processuale.

E questo unicamente perché la sua messa in scena era veramente più un luogo in atto che un’idea in mente. Una vera e propria messa in scena della scena, una regia liquida che si adatta al contenitore. E in particolare delle posizioni e movimenti dei personaggi, nonché del loro essere quello che la sceneggiatura delineava. Non a caso le sue sceneggiature apparivano “come un caso evidente del processo di costruzione del testo[…]: il suo rapporto con l’attore è decisivo fin dal primo delinearsi del personaggio nella fase di scrittura del copione”.

Per questo il suo set diventava il luogo di attivazione della regia, ed è soprattutto per questo che si parlava, apposta, di messa in scena della scena.
“Renoir trova girando: trova l’inquadratura, l’attore, il personaggio, trova in fondo la stessa storia, che non coincide necessariamente con il plot del film, ma che ne è il senso profondo”…

_________________
Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 11-10-2006 alle 02:18 ]




questo paragone con Renoir mi ha sconvolto, perché ho sempre associato K a una metodologia di assoluto controllo e di iper-preparazione del film (con annessa identificazione col genio tattico di Napoleone), all'opposto della aerea libertà di ispirazione Renoiriana. Un'opposizione che riverbera anche nei modi dei loro attori, spesso statuari e "radiocomandati" in K, aperti a mille sfumature e sottili contraddizioni in Renoir.

Inoltre, mi viene difficile immaginare K che arriva sul set e pensa "vediamo come posso girare questa scena", soprattutto se bisogna costruire venti metri di carrello per seguire i soldati nella giungla o attrezzarsi di steadycam per andare dietro a un triciclo. Anche le celebri zoomate all'indietro richiedono esigenze precise riguardo all'ampiezza del set. Insomma, lo devi sapè prima se fai ste cose, sennò il produttore si arrabbia.

è anche vero che gli esempi che ho fatto possono rientrare nel novero di quelle immagini mentali che definisci come "quel tipo di inquadrature, a cui mi riferivo poco sopra, che nascano dalla mente e visualizzano il film, al di là di storia e scena e che possono anche non aggiungere nulla come afferma Quilty"...

A questo proposito: io credo che le analisi proposte da quilty abbiano un loro senso, ma sono problematiche quando si passa ai giudizi di valore, perché implica la supremazia di un solo modo di fare cinema.
Mi sembra che alcuni si fanno trascinare da una identificazione fra immagine cinematografica e segno, concependo la singole immagini come parole che creano discorso e senso (sempre in un contesto narrativo) tramite la grammatica del montaggio. Tutto ciò è molto sensato ma rischia di divenire un approdo critico rassicurante, nella sua presunta oggettività, da cui emettere giudizi come “bravi Lang e Hitch, perché hanno capito e usato il linguaggio cinematografico e cattivi Fellini e K”, senza entrare nello specifico di quello che possono dare autori come Fellini e K, di quale sia la loro intima a peculiare potenza. Anche perché questo criterio “linguistico” è un po’ impersonale (sempre da apprezzare i richiami alla critica come scaturente dall’emozione vissuta, anche se nella fattispecie Alzayd ha avuto la delicatezza di una piccozza).

Io ritengo ad esempio che l’immagine cinematografica sia non solo segno, ma anche allucinazione, in virtù della sua affinità con il sogno. Questo deve dare conto di tassi variabili di opacità, “durezza”, intransitività. Un diverso tipo di razionalità forse.

Certo, K va avanti per quadri e tableaux vivants, cosa che lo espone al rischio del kitsch (2001) o dello scollamento fra forma e contenuto (vedi eyes wide shut, caso patologico che giustamente Marien sceglie come pietra angolare per criticare tutto K). Ma è attraverso la sua drammaturgia anomala che ottiene secondo me il suo risultato più grande, la sua natura specifica, la sua capacità di imporsi nell’immaginario collettivo.




_________________
La realtà è necessaria a rendere i sogni più sopportabili

  Visualizza il profilo di vietcong  Invia un messaggio privato a vietcong    Rispondi riportando il messaggio originario
Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 11-10-2006 17:17  
Nemmeno io credo che Renoir e Kubrick possano avere lo stesso approccio. Ma credo che entrambi, seppure per modi diversi, facciano della scena o del set il punto prim o per definire la loro messa in scena. La tecnologia con cui arrivano all'oggetto di questo presupposto è poi naturalmente diversa, non tanto per i mezzi quanto per l'utilizzo. Quindi per Kubrick questa tecnologia è dispiegata nel controllo maniacale e nella programmazione (senza però escludere che poi sia lo spazio in cui avviene la scena da riprendere ad influire su tutto questo... e ovvio succede per tutti i registi, ma in Kubrick le inquadrature parlano proprio di questo spazio e con questo ci giocano) in Renoir nella mancanza di una traccia preordinata, magari solo sentimentale, ma sempre in funzione di quello spazio che definisce i personaggi, le modalità con cui la camera da presa li definisce, li avvolge, li segue e l'insegue... A me veine da pensare tutto questo proprio pensando a La regola del Gioco e Shining, ma anche Eyes Wide Shut, Orizzonti...

_________________
Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 11-10-2006 alle 17:18 ]

  Visualizza il profilo di Tristam  Invia un messaggio privato a Tristam  Vai al sito web di Tristam    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 19:41  
quote:
In data 2006-10-11 16:28, vietcong scrive:
i richiami alla critica ... (anche se nella fattispecie Alzayd ha avuto la delicatezza di una piccozza).




Solo con la critica che usa il martello pneumatico, con quella che ha la pretesa di dire come il regista avrebbe dovuto girare un film. C'è critica e critica. Quella di cui parlo io vorrebbe addirittura sostituire il suo verbo "all'atto creativo".
_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 19:46  
quote:
In data 2006-10-11 17:17, Tristam scrive:
Nemmeno io credo che Renoir e Kubrick possano avere lo stesso approccio. Ma credo che entrambi, seppure per modi diversi, facciano della scena o del set il punto prim o per definire la loro messa in scena. La tecnologia con cui arrivano all'oggetto di questo presupposto è poi naturalmente diversa, non tanto per i mezzi quanto per l'utilizzo. Quindi per Kubrick questa tecnologia è dispiegata nel controllo maniacale e nella programmazione (senza però escludere che poi sia lo spazio in cui avviene la scena da riprendere ad influire su tutto questo... e ovvio succede per tutti i registi, ma in Kubrick le inquadrature parlano proprio di questo spazio e con questo ci giocano) in Renoir nella mancanza di una traccia preordinata, magari solo sentimentale, ma sempre in funzione di quello spazio che definisce i personaggi, le modalità con cui la camera da presa li definisce, li avvolge, li segue e l'insegue... A me veine da pensare tutto questo proprio pensando a La regola del Gioco e Shining, ma anche Eyes Wide Shut, Orizzonti...

_________________
Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 11-10-2006 alle 17:18 ]



Questo "accostamento" che ipotizza Tristam mi trova d'accordo. Avevo già letto il suo scritto. Mi permetto di aggiungere, come feci in un altro post, che anche Bunuel faceva " della scena o del set il punto prim o per definire la sua messa in scena." In poche parole il suo cinema era molto "improvvisato". Solo che a differenza di K. (di Renoir non saprei dire), raramente ripeteva una scena e si accontentava a volte anche della non perfezione. Aveva il suo cinema in testa, amava "tradire" spesso la sceneggiatura.

_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" L. Buñuel

[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 11-10-2006 alle 19:48 ]

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 19:54  
quote:
In data 2006-10-11 15:10, Schizobis scrive:
Tu invece affermi che se la macchina da presa si dilunga nella ripresa fissa, ti annoi.



Ma fa di peggio, non troppo implicitamente sostiene che non sia cinema, bensì teatro.

quote:
[i]Mi dispiace per te, ma ci sono film come Blue di Derek Jarman che non solo non annoiano, ma sono opere d'arte.
Ma tu sei di quelli che approcciano un film come un risultato della leziocina "istruzioni per l'uso", come analizzare un film in sette punti. Fortunatamente non è così.
Anzi aggiungo che quello che ho letto in queste pagine porta ad una pericolosa sopravvalutazione di sto cazzo di "linguaggio del cinema secondo Quilty".



Esattamente.
_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
bunch311

Reg.: 20 Gen 2005
Messaggi: 430
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 21:20  
quote:
In data 2006-10-11 02:16, Tristam scrive:
Mi permetto di ripartire da quanto detto in un post di pagina precedente da Bunch311, nel quale lontanamente si implicava l'utilizzo dello spazio del set come vero spazio di azione del cinema di Kubrick. Ovvero di un luogo immaginario e reale (che poi è il perfetto corrispettivo delle sue sceneggiature dove i suoi personaggi si dimenano in un destino già segnato e dal quale per quanto possano lottare non scappano... vedi rapina mano armata per esempio, ma anche Arancia Meccanica) in cui Kubrick racchiude e schiaccia la sua messa in scena.

Kubrick, a proposito di Arancia Meccanica nell'intervista che su questo film fece Micheal Ciment nel 1980, alla domanda che chiedeva come facesse a preparare un certo tipo di inquadrature, risponde:
"Salvo rarissime eccezioni, io penso che sia importante tenere da parte le proprie idee di regia fino all'ultimo momento, e utilizzare come base per quello che si girerà la scenografia e l'azione prescelte.

Chiaramente, quando si è già girata una scena in un determinato modo, si ha la possibilità di adattare il resto, ma la cosa più importante è provare con grande cura le scene, e assicurarsi che ci sia qualcosa di interessante da riprendere. Solo dopo ci preoccuperà del "come": il "come" deve sempre seguire il "cosa". Prima di tutto vengono il contenuto e le idee, poi ci si potrà preoccupare del modo di girare. Le idee di regia non compaiono quasi mai sulla sceneggiatura. Per quanto pensiate una scena, e la prepariate accuratamente, quando arriva il momento di girarla, con gli attori già in abiti da scena, guardate la scenografia tenendo presente ciò che avete già fatto, e ogni volta vedrete un quadro diverso da tutti i possibili progetti precedenti, da quello che avete pensato di fare. Di solito bisogna rielaborare internamente la scena, e spessissimo bisogna anche cambiare il dialogo".

Con questo Kubrick ovviamente non aveva intenzione di stabilire un/il metodo obbligatorio, nonché unico, di seguire e sviluppare la messa in scena di una sceneggiatura, al contrario, credo, che questa sua affermazione apra una buona strada sulla riflessione metodologica della nascita di un film. Con questa spiegazione Kubrick afferma, magari solo inconsciamente, di fare parte di una certa (chiamiamola così) scuola che ha le sue origini nel cinema muto, e in particolare nel metodo renoriano.

Ovviamente vale anche, volendo e credo che ci stia tutto, un discorso opposto da quello offerto da Kubrick. Perché se è vero che solo sulla scena (della messa in scena) si possono davvero stabilire i primi punti “costruttivi” di una regia (orrizonti di gloria e la trincea), vale anche però, su un piano pratico ma anche stilistico, seguire quel flusso mentale che spesso nei cineasti, cinefili, sceneggiatori, registi e critici trasforma le parole in immagini chiusi dentro ad un rettangolo…e che, per una serie di automatismi che richiamano alla mente cultura, memoria, regole morali ecc. ecc, fa visualizzare inquadrature, movimenti di macchina, stringhe di montaggio ecc. ecc. Perché è vero che questo succede.

Succede ogni giorno, non fosse altro che per quella nostra propensione (acquisita con l’era tecnologica dove l'immaginario è legato al cinema che a sua volta è legato al sogno, all'onirico e quindi alla significazione dei sentimenti per immagini) di volere registrare o vedere registrati i momenti più particolari o importanti della nostra esperienza..

E a proposito di esperienza, Kubrick, nel suo metodo di lavoro, lo dice nel testo citato, ne fa un elemento assolutamente importante.
Ma se fosse solo una questione di esperienza nessuno inizierebbe mai. Kubrick quindi suggerisce, per corollario, che è assolutamente importante avere sotto controllo la scena, dove per scena si intende tutto: scenografia, attori e loro movimenti, luce, macchina da presa e sui possibili posizioni. Nonché, credo, una buona dose di entusiasmo che riesca a superare tutti gli intoppi e le modifiche del momento. Per questo, leggendo Kubrick, si può desumere che si possa anche decidere di sviluppare il proprio lavoro di messa in scena intorno a quelli che si vuole che siano i punti cruciali o importanti del film, a livello proprio di regia e non di storia narrata e da narrare. Scegliere dei perni di azione, su cui poi costruire il terreno connettivo.

E non mi riferisco solo a stabilire quelle inquadrature che vengono chiamate estabilishing shot o master, ma proprio a quel tipo di inquadrature, a cui mi riferivo poco sopra, che nascano dalla mente e visualizzano il film, al di là di storia e scena e che possono anche non aggiungere nulla come afferma Quilty, ma che fanno parte inevitabilmente di quel costrutto immaginifico che nasce dalla terra dei significati.

Detto questo ecco allora la questione Renoir.
Renoir aveva un modo tutto particolare di girare i film. Come Kubrick non pensava mai alla regia fino a cui non arrivava il momento delle riprese, ma più di Kubrick, se non altro in maniera molto più stilistica che metodologica (sta anche qui la grandezza di Renoir, in questo suo essere intrinsecamente dominato da una sua visione piuttosto che da una regola di sviluppo) faceva della regia una questione quasi interamente processuale.

E questo unicamente perché la sua messa in scena era veramente più un luogo in atto che un’idea in mente. Una vera e propria messa in scena della scena, una regia liquida che si adatta al contenitore. E in particolare delle posizioni e movimenti dei personaggi, nonché del loro essere quello che la sceneggiatura delineava. Non a caso le sue sceneggiature apparivano “come un caso evidente del processo di costruzione del testo[…]: il suo rapporto con l’attore è decisivo fin dal primo delinearsi del personaggio nella fase di scrittura del copione”. Renoir infatti diceva (a proposito di ‘La regle du Jeu’): “Ancora una volta partivo dall’esterno per arrivare alla creazione di un personaggio o di un intreccio […]. Si parte da ciò che ci circonda per arrivare all’io”. E questo vale per la definizione di un personaggio, come la costruzione di una scena e l’articolazione delle inquadrature, dentro il quadro e con altre inquadrature.

Per questo il suo set diventava il luogo di attivazione della regia, ed è soprattutto per questo che si parlava, apposta, di messa in scena della scena.
“Renoir trova girando: trova l’inquadratura, l’attore, il personaggio, trova in fondo la stessa storia, che non coincide necessariamente con il plot del film, ma che ne è il senso profondo”…

In sostanza apertura del testo nei confronti dei suoi materiali. Materiali di varia natura appunto, (per chiudere il cerchio del concetto): visioni di inquadrature, segnalazioni della sceneggiatura di ferro, punti cardine di regia, il set che cambia la storia (perché inizia a visualizzarla) e che diventa luogo di sperimentazione e prassi.
Ed è in questo vastissimo concetto, riflesso di un approccio al cinema (alla materia del film) che in Kubrick “l’ossessione claustrofobica e la ricerca del punto di fuga sono i sentimenti che guidano il movimento dei personaggi kubrickiani nello spazio. E questa stessa ossessione è l’unica comunione possibile fra spettatore-attore e cinema kubrickiano, l’unico fattore condivisibile. In tal senso potremmo giungere alla non remota conclusione che lo spettatore viene diretto e perturbato da Kubrick alla stregua dei suoi stessi protagonisti".

Si attua come un raddoppio, ma è un raddoppio che parte dal set, da come è organizzato, e che incanala i personaggi così come chi li guarda e li esperisce, mentre la macchina da presa ossesivamente ripete se stessa e ricalca i significati. E pur facendo questo non è vero che il film è solo esecuzione di sceneggiatura. Anzi è la sua doppia trasposizione visuale e scritturale.


_________________
Una minchia/sapida

[ Questo messaggio è stato modificato da: Tristam il 11-10-2006 alle 02:18 ]

bastavano du righe,la prossima volta piu sintetico
_________________
"tutti sognamo di tornare bambini,anche i peggiori di noi,anzi forse loro lo sognano più di tutti" il mucchio selvaggio

  Visualizza il profilo di bunch311  Invia un messaggio privato a bunch311     Rispondi riportando il messaggio originario
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 11-10-2006 22:08  
quote:
In data 2006-10-11 15:10, Schizobis scrive:


Mi son riletto tutta la discussione.
Secondo te le ultime quattro righe che hai scritto sopra, possono mai essere commentabili? O ci si incazza ferocemente oppure si lascia passare. In quali termini si può discutere se affermi che "perchè non andiamo a teatro a vedercelo"?" oppure " in Amarcord non ho visto nè inquadrature..."
Dunque tu non vedi in Amarcord il linguaggio del cinema, e io cosa dovrei argomentare?
Non posso che prenderne atto, ma nessuno può vietarmi di pensare che hai preso una cantonata. Perchè proprio in Amarcord, che è girato praticamente senza sceneggiatura, il linguaggio del cinema diventa arte, la memoria diventa identità oggettiva, la rappresentzione filmica un quadro moltiplicato all' infinito di colori e sensazioni. Il lungo piano sequenza finale è il saluto di Fellini alla sua giovinezza, un gesto di commiato di una grandezza lirica disarmante.
Tu invece affermi che se la macchina da presa si dilunga nella ripresa fissa, ti annoi. Mi dispiace per te, ma ci sono film come Blue di Derek Jarman che non solo non annoiano, ma sono opere d'arte.
Ma tu sei di quelli che approcciano un film come un risultato della leziocina "istruzioni per l'uso", come analizzare un film in sette punti. Fortunatamente non è così.
Anzi aggiungo che quello che ho letto in queste pagine porta ad una pericolosa sopravvalutazione di sto cazzo di "linguaggio del cinema secondo Quilty".





Quello che dovrebbe essere veramente importante nella valutazione di un film è se la storia narrata si sviluppa attraverso le immagini , se l'uso della grammatica cinematografica va effettivamente a produrre un significato piuttosto che limitarsi a inquadrare quello che è già stato preparato.
Altrimenti se una pellicola non utilizza il suo linguaggio di che cosa stiamo parlando? Di cinema? di letteratura? di teatro?
Con questo non voglio dire che la sceneggiatura non sia importante, che i dialoghi non siano importanti, che la recitazione degli attori non sia importante, ma solo che non ne possiamo fare la questione principale per valutare una pellicola.
Non esiste un manualetto delle istruzioni che va bene per qualsiasi film, un codice unico per cui dovremmo valutare allo stesso modo un film di Hitchcock e uno di Kubrick.
A parte l'assurdità della cosa,ogni regista ha il suo metodo e le soluzioni a cui un autore approda possono essere infinite.
Il più è andare a verificare se questo benedetto linguaggio di questa disciplina viene usato o se siamo davanti a una narrazione che procede solamente per un' accumulazione di segnali e di contenuti già racchiusi nell'immagine stessa,la classica esecuzione di sceneggiatura, il bel racconto filmato e incorniciato dove le immagini non scavano da nessuna parte, non scrivono il testo ma sono sostanzialmente quadri fermi e imbalsamati.

Ti sei fissato con questo Amarcord: ebbene se questo film deve essere considerato un grande film lo sarà perchè sfrutta al massimo le peculiarità della sua disciplina.
Non venire quindi a decantare le lodi di Fellini parlandomi del transatlantico Rex che vola sopra dei teloni di plastica. Diamo il merito allo scenografo.
Non parlarmi di una narrazione che sembra scollegata ma che racchiude il suo senso in una visione d'insieme di un'Italia provinciale e bigotta narrata con un occhio nostalgico: tutto questo è solo la trama del film.

C'è da rilevare inoltre che lanci una serie di accuse senza sforzarti di motivarle. Quindi io confondo la forma e il contenuto , ho le istruzioni con i dieci punti per il corretto uso della visione (la famosa dispensa dalla quale attingo avidamente a mani basse)e via discorrendo. In sostanza quindi il mio metodo di analisi è completamente limitato. Ma in quale punto? Dove? E perchè?
Non ho mai preteso di avere nelle mani la verità rivelata, ma una corretta discussione si basa sulla confutazione delle tesi altrui proponendo ovviamente un diverso approccio o smascherando gli errori di valutazione che si vanno sostenendo.
Se l'etica di un film non la si rileva dalla sua forma (e altro non è che una sua diretta conseguenza), da cos'altro la dobbiamo ricavare? Dalla sceneggiatura? O da che cosa? Qual'è l'errore ideologico che sta alla base del ragionamento che vado sostenendo da mò? E qual'è invece l'altra faccia della verità che non riesco a vedere, talmente preso come sono dal seguire pedissequamente le istruzioni del mio manualetto( del quale non rivelerò mai il titolo in quanto qualcuno qui potrebbe emettere una fatwa)?
Voglio dire, qui non c'è veramente nulla se non una sequela di accuse e un'infantile sminuire le teorie dell'interlocutore riducendole a banali schemi didattici ai quali io non ho mai fatto accenno. Ma tutto questo è troppo facile e troppo comodo,permettersi una critica senza sporcarsi le mani e senza andare veramente a rivelare "l'inganno" che sta alla base delle mie argomentazioni.
In questo modo non fai altro che confermare che in fondo non c'è una vera alternativa alla discussione proposta (sulla quale mai ti sei confrontato) ma che il tutto si riduce a un gigantesco pregiudizio e alla paura di arrivare alla conclusione che qualche film al quale si tiene particolarmente altro non sia che una banale storiella priva di qualsiasi contenuto cinematografico.
Pongo allora nuovamente la domanda: se è sbagliato affermare che le idee che il regista vuole comunicare(le sue tematiche, la sua poetica) devono essere ricercate nel mezzo (una particolare inquadratura, una carrellata , un montaggio alternato)che permette di esprimerle, o non solamente da questo, su che cos'altro ci dovremmo basare?


[ Questo messaggio è stato modificato da: Quilty il 11-10-2006 alle 22:13 ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: Quilty il 11-10-2006 alle 22:18 ]

[ Questo messaggio è stato modificato da: Quilty il 11-10-2006 alle 22:26 ]

  Visualizza il profilo di Quilty  Invia un messaggio privato a Quilty    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 11-10-2006 23:55  
quote:
In data 2006-10-11 22:08, Quilty scrive:

Pongo allora nuovamente la domanda: se è sbagliato affermare che le idee che il regista vuole comunicare(le sue tematiche, la sua poetica) devono essere ricercate nel mezzo (una particolare inquadratura, una carrellata , un montaggio alternato)che permette di esprimerle, o non solamente da questo, su che cos'altro ci dovremmo basare?





Sul linguaggio. Del mezzo tecnico, come tu dici, se ne deve occupare l'autore, non il fruitore. Per poter fruire al meglio la musica di Beethoven, ad esempio, l'ascoltatore non deve necessariamente conoscere il solfeggio e l'armonia, le tecniche compositive. Naturalmente la tecnica - che resta ovviamente un elemento portante, indispensabile ai fini della "composizione" dell'opera d'arte - viene ugualmente avvertita dal fruitore, anche se non riconosciuta come tale, mediante i "segni" che formano il linguaggio, dove allora la tecnica si traduce in musicalità. Che è l'equivalente della "fotogenia" nel cinema, che sia plastica, o statica, o la più "cinetica" che vi sia... Per cogliera non occorre sapere cosa sia una carrellata, o un dolly, o una panoramica, un raccordo sull'asse, ecc.

Anche nella letteratura, per avvertire la bellezza, l'armonia di una frase, non serve affatto pensare alla grammatica, alle regole della sintassi. Nella poesia, ancor meno: la "suggestione" è tutta riposta nelle parole che hanno una loro intrinseca forza evocatrice che il lettore avverte pur senza conoscere le regole della metrica.
Ciò vale per tutte le arti.
Un minimo di conoscenza delle tecniche aiuta a capire meglio, ma anche no, come capita a certi critici del "martello pneumatico" che fissati con le tecniche perdono di vista quell'"insieme" che si chiama linguaggio.

Cosa è il linguaggio?

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 12-10-2006 00:10  
è luce.
_________________
"C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"

  Visualizza il profilo di Tristam  Invia un messaggio privato a Tristam  Vai al sito web di Tristam    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 12-10-2006 00:11  
"La tecnica? Non mi faccia ridere! Nel cinema, come in qualsiasi mestiere, la tecnica s'impara in quattro giorni. Difficile, invece, è come servirsene per fare dell'arte" - O. Welles

"Fare un film - cioè raccontare la storia di un uomo, di una donna, di due o più persone, in meno di due ore, o in almeno due ore - è un'impresa terrificante, che merita molto più dell'abilità tecnica di una prostituta." -J. Cassavetes

"... perche la tecnica si trova così indissolubilmente unita agli altri elementi del film che non riusciamo neppure a notarla, proprio come quando vivendo in una casa, non ci rendiamo conto del calcolo di resistenza dei materiali che la compongono" - L. Bunuel

_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 12-10-2006 00:12  
quote:
In data 2006-10-12 00:10, Tristam scrive:
è luce.




e ALLORA ILLUMINIAMOCI D'IMMENSO!
_________________
"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

  Visualizza il profilo di AlZayd  Invia un messaggio privato a AlZayd  Vai al sito web di AlZayd    Rispondi riportando il messaggio originario
Vai alla pagina ( Pagina precedente 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 Pagina successiva )
  
0.133060 seconds.






© 1999-2020 FilmUP.com S.r.l. Tutti i diritti riservati
FilmUP.com S.r.l. non è responsabile ad alcun titolo dei contenuti dei siti linkati, pubblicati o recensiti.
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Cagliari n.30 del 12/09/2001.
Le nostre Newsletter
Seguici su: